La disarmante autenticità di un artista libero e solitario


di Anna Condemi

La strada che porta a Vanzago, lasciato il casello autostradale di Arluno si dirada. rapidamente e basta una manciata di chilometri per allontanarsi anni luce dal traffico mordente e scomposto della Milano Torino e ritrovarsi a percorrere quelle strade silenziose e solitarie, tipiche della campagna lombarda.
Così, accompagnati dal silenzio e da un’inusitata solitudine si arriva in via Roma, al laboratorio dello scultore Gino Corsanini. Da quasi 40 anni vive e lavora qui. Una sola fermata di treno per raggiungere tutte le mattine il Cantiere marmisti della Veneranda Fabbrica del Duomo dove, l’ing. Ferrari l’aveva chiamato solo ventenne, come modellatore pei lo scultore Bassetti.

Oggi è il marmo già sbozzato, a compiere il percorso verso di lui che, come un tempo Bassetti, lo aspetta per modellarlo in copie perfettamente fedeli all’originale per farle tornate a svettare dalle guglie del Duomo.
Un piccolo cortile e l’ampia porta di un’officina, completamente incipriata. di bianco. Dal soffitto. al pavimento, ogni angolo, ogni ripiano è tutta polvere di marmo: rosa di Candoglia e del Portogallo, rosso multicolore del Brasile, nero del Belgio ma soprattutto tanto impalpabile marmo bianco, quello bianchissimo e traslucido di Carrara sotterraneo e inesauribile dono delle alpi Apuane.
Qui, su una collina del versante ligure, a Ortonovo, è nato Corsanini 59 anni fa. Il cuore della: montagna, un filone di marmo immenso e immacolato perché così è il carbonáto di calcio delle conchiglie che, frantumandosi. e sedimentandosi in milioni di anni, l’hanno formato: primigenia di opera d’arte di una Creazione davanti alla quale l’artista trema al solo, sfiorarla, si commuove, teme… di fargli del male nella sua, inevitabilmente piccola perché umana, opera di trasformazione.

E la nobile materia, il marmo, a dialogare con. questo scultore solitario e puro, estraneo ai grandi cori dei dibattiti ideologici, che si muove sicuro nel suo laboratorio d’artigiano tra rudi attrezzi, blocchi di pietra, plastilina, bozzetti e nuovi progetti facendo tutto da solo. Fino… ad aggiustarsi le gomme del compressore, in cambio di quella libertà artistica e individuale che gli permette di trasportare sulla pietra le urgenze del proprio animo con indecente franchezza, con disarmante autenticità: la stessa del suo sorriso, dei suoi occhi fieri, della sua schietta voce che dice «Perché non dovrei mostrarmi come sono?».

E questo suo essere uomo si specchia nel suo essere scultore: lui, abituato per mestiere e vocazione ad arrivare al cuore della terra, a spogliare la pietra con assoluto rispetto scevro da ipocrisie non teme di passare, con rigorosa coerenza tecnica e stilistica, dal figurativo al moderno, all’astratto indagando, secoli dì storia, né di prestare le sue mani ad un artista «inceppato» perché lo scultore d’oggi conosce il timore e l’angoscia di potersi trovare lui, domani, davanti a questi suoi marmi senza sapere se riuscirà di nuovo a trasformarli a creare.
E’ la materia grezza che, sedotta dalla tensione delle sue mani poderose e sensibili, accetta dì svelarsi e rivelarsi diventando goccia. di sangue, calda lacrima; palpito fremente per condividere la ricerca di. un senso. dell’esistere che irrompe nelle perfette ed eloquenti sintesi di forme, figure e slanci che hanno il nome e la passione dei sentimenti umani: desolazione, tormento, ipocrisia, disperazione, sfida, eros, fusione, provocazione, tensione, attesa… «Perché non dovrei mostrarmi come sono?»”‘.

E lo fa davvero, Gino, staccandosi senza timore dalla quiete vanzaghese per volare ovunque Io chiami il mondo un Simposio Internazionale di scultura. In Italia, Germania, Francia e Spagna fino, nella lontana Corea del Sud, nelle piazze come negli spazi aperti in cui si ergono le sue potenti creazioni per testimoniare, insieme ad altri artisti come lui, coraggio di mostrarsi agli occhi di tutti, passanti distratti, curiosi sorpresi, appassionati d’arte, scultori in erba, nella sua più intima autenticità: armato solo del suo, cuore e delle sue mani, a trasformare un pezzo di marmo in palpitante oggetto d’arte. Ed è ancora la materia, il marmo rosa di Candoglia che sostiene quelle struggenti figure gotiche scorticate dal tempo, usurate da troppi sguardi corrose da un cielo contaminato, a domandargli amore nel dono anonimo di una seconda vIta. Passaggi di memorie, sussurrate nel codice di un DNA da infondere nel mistero di una nuova opera: oggi come ieri, con tre punti. di riferimento e il pantografo manuale, proprio come faceva Michelangelo.

Anelito d’eternità… sul muro incipriato di bianco spicca nitida la riproduzione dell’attimo della Creazione michelangiolesca nell’incontro di due mani. Tracce del passato che sollecitano creazioni inedite: la mano, uno dei temi figurativi più cari a questo artista che non vuole rinunciare a leggere quello che i nostri antenati ci hanno lasciato. La mano: tre coppie di mani che spezzano catene di pregiudizi sul bassorilievo dedicato alla Resistenza; la mano, unica e gigantesca, alta 4 metri che sostiene progetti dì vita, grazie ai donatori di sangue ricordati nel monumento AVIS; la mano invisibile e sconosciuta che solleva dagli abissi della solitudine in «Schiavitù del profondo».

«La mia fortuna è di aver lavorato con la Veneranda Fabbrica del Duomo per artisti di tre quattrocento anni fa: loro mi hanno fatto. scoprire la storia, mi hanno portato a conoscere delle sensibilità che forse lo non avrei mai avuto. E adesso tocca a me rilanciare: sto rilanciando tutto quello che loro mi hanno dato. Mi stanno comunicando loro quello
che devo fare….».

E oggi per Gino Corsanini è il tempo della protesta, dell’indignazione, ma anche della speranza: una meteora che cerca un raggio di sole tra lettere sconosciute che chiedono di essere decifrate; due monoliti di marmo bianco di Carrara che sostengono e trattengono un estraneo globo di pietra rossa del Brasile, pronti rilanciarlo nel vuoto a cui è arrivato oppure a proteggerlo in un abbraccio. d’integrazione? Due gigantesche figure in 60 quintali di granito che si sfiorano senza avere: «Nulla da dirsi» a suggerire l’assurdità del contatto fisico se sostituisce la comunicazione.

C’è sempre una gran folla qui da Gino: personaggi antichi, di ieri e di oggi. Una folla apparentemente silenziosa che dialoga soltanto con chi la sa ascoltare. Gino sa ascoltare la loro voce e trasmetterla a noi. E a chi verrà dopo di noi.

Una cipria argentata illumina i suoi capelli: polvere. di marmo o polvere del tempo?